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Etica

Amo fotografare gli animali ambientati nel paesaggio, al punto che è l’unico modo in cui li fotografo, negli ultimi anni. E più sono distanti meglio è. Non solo questo mi permette di mantenere una corretta distanza dai soggetti - evitando ogni inutile disturbo - ma mi fornisce anche molto più spazio per interpretare la composizione secondo il mio gusto personale.

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Galli forcelli, Särna, Dalarna, Svezia.

Visita la galleria Cuore di Scandinavia.

​Prima dello scatto

Dire che l'incolumità dei soggetti viene prima di ogni altra cosa è quasi banale, almeno per i fotografi della mia generazione (non lo è per tutti). Non essere pronti a rinunciare ad uno scatto significa tradire i fondamenti stessi per cui si dovrebbe fotografare la Natura: empatia, passione, armonia, emozione, per citarne alcuni.

Non scatto foto di rapaci diurni al nido: a parte qualche rara eccezione (ad esempio, nidi visibili da grande distanza): sono animali troppo preziosi e dall'ecologia fragile per metterne a repentaglio il successo riproduttivo in cambio di qualche foto. Non voglio nascondermi dietro un dito: la presenza di un nido o di una tana è uno dei fattori che più comunemente aiutano a contattare un animale, e una dose di disturbo può essere arrecata anche senza inquadrare il nido stesso. Questo, come altro, è lasciato alla sensibilità e alla capacità del fotografo.

Tuttavia è il fatto stesso di pubblicare foto al nido che può indurre un lettore occasionale o un fotografo superficiale a pensare che sia possibile farlo senza pagare pegno, e la malintesa voglia di emulazione che spesso ne consegue può portare a danni pesanti. Come divulgatore ho una responsabilità che va oltre l'attenzione e il rispetto che impiego nello scattare le mie foto, e di questo devo farmi carico. Oltretutto, le foto al nido sono quasi invariabilmente di scarso spessore estetico, motivo per cui, in genere, le evito per qualsiasi specie.

Non scatto (più) foto in condizioni controllate, o per dirla in modo più schietto, ad animali in cattività. Non amo la "caccia fotografica", intesa come quell'atteggiamento in cui é prioritario l'aspetto "agonistico", sportivo, oserei dire predatorio dello scatto. Un animale non dovrebbe mai essere considerato una preda, nemmeno nel mirino di una fotocamera, perché finirebbe per godere dello stesso status che alle prede si riserva: oggetti secondari rispetto al fine, cui non è dovuto rispetto, merce da ricreazione.

Allo stesso modo rigetto qualsiasi forma di caccia reale, cruenta, senza alcun tipo di eccezione che non sia la tradizionale caccia di sostentamento nelle comunità arcaiche (Inuit, Indios e via dicendo). E a quelli che stessero per avanzare la classica obiezione del caso dico subito che certamente, sono vegetariano (lacto-ovo-vegetariano, per la precisione), felicemente e salubremente dal 1988, e dallo stesso anno non uso vestiti o accessori derivati dall'uso cruento di animali (cuoio, pelle e simili). L'ho fatto io, possono farlo tutti: ad di là della sensibilità personale che me lo imponeva, era esattamente questo il punto che volevo rimarcare compiendo quel passo.

Ovviamente non uso esche animali per attirare gli animali che fotografo, e nemmeno approfitto dei servizi di chi offre capanni a pagamento gestiti nello stesso modo.

Dopo lo scatto 

La fotografia è sempre interpretazione: il filtro del fotografo e le scelte che opera impediscono di considerarla un mero resoconto documentale. Ogni rappresentazione fotografica, tuttavia, parte dal reale e su esso si basa.

Una "fotografia", inoltre, è tale in quanto risultato dell'azione della ripresa e delle scelte fatte in quel momento: per dirla in termini ancora più semplici, è un'immagine ripresa con una fotocamera. Per questi motivi mi limito ad una post produzione delle immagini limitata alla sistemazione di livelli, contrasto, saturazione, distorsione e nitidezza, anche in modo locale. In sostanza gli interventi utili a correggere i limiti del mezzo tecnico in modo da restituire una scena il più possibile fedele all'originale; o, per meglio dire, a quello che il fotografo vedeva nell'originale. Nel caso di conversioni in bianco e nero uso mascherature e rinforzi parziali, come ai tempi della cara vecchia camera oscura.

Considero improprio e inaccettabile qualsiasi intervento sul contenuto stesso della foto, come la cancellazione o l’aggiunta di elementi (modifica del contenuto in pixel), perché sposta l'ambito dalla fotografia alle arti grafiche, nel migliore dei casi; o alla mistificazione e all'imbroglio, quando è maliziosamente sottaciuto affinché l'immagine appaia realistica. Non troverete nulla di tutto ciò nelle mie foto.

Sono convinto che le facili scorciatoie siano diseducative: meglio imparare dai propri errori, soprattutto imparare ad accettarli, e allo stesso modo accettare i nostri limiti. Abbiamo il dovere di essere imperfetti, perché solo così ci è data la possibilità di migliorarci attraverso la crescita personale, lo sforzo, l'applicazione, e ci è possibile apprezzare il valore dei nostri risultati.

Dove non sia possibile usare un filtro graduato neutro, mi capita di usare delle tecniche di HDR per recuperare un aspetto più vicino alla visione umana, ma sempre in modo che l'intervento non rappresenti lo scopo stesso dell'immagine: l'HDR buono è quello che non si nota. Pratico lo stitching, la creazione di foto panoramiche tramite l’unione di più scatti individuali, e utilizzo tecniche di focus stacking per garantire la massima profondità di campo, quando richiesto.

Un paesaggio tratto dalla gallerie Black & Wild, che presenta solo qualche mascheratura locale, oltre agli interventi consueti (livelli, contrasto, esposizione, saturazione se a colori). In sostanza il punto più estremo cui si spingono i miei interventi di fotoritocco.

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Monte Städjan da Nipfjället, Dalarna, Svezia.

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